giovedì 15 marzo 2012

Un effetto Foto-elettrico!

Descriveremo in questo post l'effetto Fotoelettrico che, come è noto, "è il fenomeno fisico caratterizzato dall'emissione di elettroni da una superficie, solitamente metallica, quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica avente una certa frequenza"* (vedi Wikipedia).

Mostriamo subito l'equazione che descrive questo fenomeno fisico, derivata nel 1905, e che valse il premio Nobel ad Albert Einstein nel 1921:
(1/2)mv2=h/T-W.
L'equazione è piuttosto semplice, in essa sono indicati i seguenti termini:
-> (1/2)mv2 è l'energia cinetica di un elettrone di massa m (posto sulla superficie metallica) che fuoriesce dalla piastra a velocità v a causa della radiazione incidente;
-> h/T è l'energia di un fotone (cioè un quanto della radiazione elettromagnetica di frequenza 1/T) che collide su quel dato elettrone (trasferendogli per ipotesi tutta la sua energia)**;
-> W è il lavoro che si deve fare sull'elettrone per farlo uscire dalla piastra di metallo, per vincere cioè l'energia che lo tiene legato al metallo.

L'interpretazione di questa equazione, e quindi del fenomeno fisico che descrive, è la seguente: l'emissione di elettroni, in particolare la loro energia cinetica, dipende solo dalla frequenza 1/T della radiazione elettromagnetica incidente, una volta superata la soglia di emissione W.
Inoltre l'intensità dell'onda incidente*** (cioè l'energia che attraversa la superficie elementare nell'unità di tempo) è proporzionale al numero di fotoni e quindi al numero di elettroni emessi dalla piastra.

Questa in sintesi la spiegazione data da Einstein; ma per apprezzare meglio quale sia stata la sua straordinaria ipotesi (cioè il quanto di luce) ricordiamo cosa invece prevedeva la teoria classica:
-> poiché l'intensità di un'onda elettromagnetica dipende dal campo elettrico E ed essendo la forza F applicata all'elettrone q pari a F=qE, se aumenta l'intensità, deve aumentare anche l'energia cinetica degli elettroni: tuttavia l'effetto fotoelettrico, come abbiamo visto sopra, dipende solo dalla frequenza dell'onda elettromagnetica;
-> il fenomeno dovrebbe verificarsi per qualsiasi frequenza della radiazione, a patto che l'intensità di energia dell'onda superi la soglia minima di emissione W: in realtà l'esperimento mostra che è la frequenza 1/T dell'onda che deve superare la soglia minima affinché risulti h/T>W;
-> l'effetto fotoelettrico dovrebbe aver luogo anche a basse intensità, purché si dia abbastanza tempo agli elettroni di accumulare energia (essendo δW=Fds) in modo che possano liberarsi dalla superficie del metallo; tuttavia nessun ritardo di emissione è mai stato riscontrato: l'energia elettromagnetica non è distribuita uniformemente sul fronte d'onda ma è concentrata nei quanti di luce e si trasmette immediatamente.

Il significato fisico dell'effetto fotoelettrico è stato ben chiarito da Einstein, che nel suo articolo del 1905 con lucida comprensione del fenomeno scrisse:
"Quando un raggio di luce si espande partendo da un punto, l'energia non si distribuisce su volumi sempre più grandi, bensì rimane costituita da un numero finito di quanti di energia localizzati nello spazio, che si muovono senza suddividersi e che non possono essere assorbiti od emessi parzialmente".
Nota: la formula di Planck E=h/T si riferiva all'emissione o assorbimento delle pareti del corpo nero senza però postulare i quanti di luce.

Ma allora ciò significa che il modello ondulatorio della luce non è più valido?
Einstein così commenta nel suo articolo:
"La teoria ondulatoria della luce, che fa uso di funzioni spaziali continue, si è verificata ottima per quel che riguarda i fenomeni puramente ottici e sembra veramente insostituibile in questo campo. Tuttavia, bisogna tenere presente che le osservazioni ottiche si riferiscono a valori medi nel tempo e non a valori momentanei".

In effetti oggi sappiamo che l'intensità di un'onda e.m. è proporzionale al numero di fotoni che trasporta e che attraversano una superficie elementare nell'unità di tempo; in particolare, la probabilità di trovare un fotone (in un punto qualsiasi dello spazio) è proporzionale al quadrato dell'ampiezza del campo elettrico in quel determinato punto.
Nota: il concetto di probabilità quantistica è meglio descritto nel post "La Funzione d'Onda (quantistica)".

(*) Gli elettroni emessi dalla superficie metallica (catodo) vengono raccolti da una seconda superfice (anodo) e quindi, grazie alla differenza di potenziale che esiste tra le due piastre, si genera una corrente che permette di misurare il comportamento degli elettroni.
(**) In realtà, secondo l'effetto Compton (vedi il post "Effetto Compton: onda o particella?"), non è possibile che tutta l'energia del fotone si trasferisca ad un elettrone libero (per la conservazione della quantità di moto e dell'energia): il fotone nell'urto (per ipotesi elastico) viene deflesso, variando la sua energia, ma non viene mai assorbito completamente.
(***) L'intensità di un'onda elettromagnetica è definita classicamente dal vettore di Poynting S; ad esempio nel caso di una onda piana il suo modulo è proporzionale al quadrato del campo elettrico: S=E2/Z (dove Z=(µ/ε)1/2 è l'impedenza caratteristica del materiale entro cui si propaga l'onda).

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