martedì 23 aprile 2013

Il concetto fisico di Derivata

Prima di introdurre la definizione di derivata è indispensabile ricordare quello di funzione:
"In matematica, una funzione, anche detta applicazione, mappa o trasformazione, è definita dai seguenti oggetti:
  • Un insieme X detto dominio della funzione f.
  • Un insieme Y detto codominio della funzione f.
  • Una relazione che ad ogni elemento x dell'insieme X associa uno ed un solo elemento y dell'insieme Y, indicandolo con f(x).
Si dice che x è l'argomento della funzione, o un valore della variabile indipendente; mentre y o f(x) è un valore della variabile dipendente della funzione" (vedi Wikipedia).
Nota: in questo post consideriamo solamente funzioni reali di variabili reali.

A questo punto la definizione di derivata è immediata:
"In matematica, la derivata è la misura di quanto il valore di una funzione cambi al variare del suo argomento" (vedi Wikipedia). Il problema è quindi quello di calcolare, in generale, il valore di questa variazione.

Ma andiamo per gradi e cominciamo ad introdurre il rapporto incrementale di una funzione (con riferimento alla figura che segue):
"Sia f(x) una funzione reale nella variabile reale x; si definisce incremento della funzione (o della variabile dipendente) attorno al punto di ascissa x0 la quantità
∆f(x0)=f(x0+h)-f(x0)
per una fissata quantità h diversa da zero; si definisce incremento della variabile indipendente la corrispettiva quantità
∆x=(x0+h)-(x0)=h.
Si definisce quindi rapporto incrementale della funzione attorno a x0 e rispetto all'incremento h il numero reale:
∆f(x0)/∆x=[f(x0+h)-f(x0)]/h
cioè il rapporto degli incrementi" (vedi Wikipedia).

Ora si osservi che è possibile definire una retta secante y(x) che interseca il grafico della funzione f(x) nei punti di ascissa x0 e x0+h; come è facile mostrare* l'equazione di questa retta è:
y(x)=f(x0)+[∆f(x0)/∆x](x-x0)
da cui risulta evidente che il rapporto incrementale ∆f(x0)/∆x prima definito, rappresenta il coefficiente angolare della retta secante come illustrato in figura (dove compare x invece di x0):

File:Derivativa.png

A questo punto è facile notare che se si fa tendere h-->0 allora la retta secante tende a coincidere con la tangente al grafico della funzione nel punto x0 ed in particolare avremo**:
df(x0)/dx=limh-->0[f(x0+h)-f(x0)]/h.
Quindi il rapporto incrementale calcolato dal limite df(x0)/dx rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente nel punto x0.
Nota: si osservi che il coefficiente angolare m (vedi nota*) coincide con il valore della tangente dell'angolo α formato dalla retta tangente con l'asse X cioè m=∆f(x0)/∆x=sinα/cosα (vedi Wikipedia).
(Qui trovi un esempio di come può variare la derivata di una funzione)

Possiamo perciò affermare che il coefficiente angolare, e quindi la derivata di una funzione, misura in che modo varia la funzione in quel punto.
Nota: non sempre il coefficiente angolare di una funzione può essere definito, cioè non è detto che il limite che definisce la derivata esista (ad esempio se la funzione non è continua in quel punto).

Se osserviamo che quasi tutte le grandezze fisiche dipendono da altre grandezze o parametri, il significato fisico della derivata è proprio quello di definire in che modo varia una grandezza fisica rispetto alla sua variabile correlata (ma ciò è vero solo se questa grandezza può essere espressa da una funzione continua e derivabile)***.
Nota: naturalmente una grandezza fisica può dipendere da più variabili; il concetto di derivata si può in effetti estendere a più variabili.

(*) In generale una retta è definita dall'equazione: y(x)=q+m(x-x0) dove m è il coefficiente angolare mentre il termine (x-x0) impone la condizione y(x0)=q per x=x0; nel nostro caso risulta in particolare q=f(x0) e m=∆f(x0)/∆x essendo y(x)=f(x0)+[∆f(x0)/∆x](x-x0).
(**) La notazione df(x0)/dx è stata introdotta da Leibniz nel 1675 ca. e i simboli df(x0) e dx indicano i rispettivi valori infinitesimi (cioè entità numeriche infinitamente piccole).
(***) La condizione di continuità di una funzione è necessaria ma non sufficiente per la derivabilità; ad esempio la funzione a valore assoluto f(x)=|x| è continua ma non derivabile nel punto x0=0 (poiché il limite calcolato per x>0 è diverso da quello calcolato per x<0).
(Vedi anche la definizione di funzione continua su Wikipedia)

mercoledì 3 aprile 2013

La composizione del moto!

Come cercheremo di mostrare in questo post, è proprio vero che (come si legge su Wikipedia): "La più importante conseguenza delle trasformazioni galileiane è la composizione delle velocità".

Per chiarire questa affermazione e il suo significato fisico cominciamo col ricordare che "in fisica, una trasformazione galileiana è un insieme di leggi che descrivono il legame tra le coordinate di un oggetto in due sistemi di riferimento cartesiani diversi, l'uno in moto rettilineo uniforme rispetto all'altro, nell'ipotesi che le velocità in gioco siano molto inferiori alla velocità della luce" (vedi Wikipedia).

È infatti noto che per indicare le posizioni e le velocità di un oggetto rispetto a due diversi sistemi di riferimento si può usare il formalismo dei vettori (essendo posizione e velocità in ambito classico delle grandezze vettoriali).

Se ad esempio abbiamo due osservatori O1 e O2 in moto relativo uniforme (per ipotesi coincidenti con l'origine di due sistemi inerziali*), che misurano la posizione di un oggetto P in tempi successivi, possiamo scrivere (utilizzando la somma vettoriale):
P1(t)=P1-2(t)+P2(t)
dove P1(t) indica la posizione dell'oggetto in moto P e P1-2(t) è la posizione dell'osservatore in moto O2 (entrambi visti da O1) mentre P2(t) indica l'oggetto P visto da O2 come indicato in figura:

Trasformazione galileiana posizione.png
Nota: il vettore P è detto vettore di posizione: vedi il post "Cos'è il Vettore di Posizione?".

A questo punto è facile ottenere, per derivazione, la relazione vettoriale tra le diverse velocità**:
v1(t)=dP1(t)/dt=v1-2(t)+v2(t)
ed inoltre, considerando che i due osservatori sono in moto rettilineo uniforme (cioè v1-2(t)=costante), risulterà:
a1(t)=dv1(t)/dt=d[v1-2(t)+v2(t)]/dt=a2(t)
cioè l'oggetto P ha la stessa accelerazione rispetto ad entrambi i riferimenti*** (essendo dv1-2(t)/dt=0).
Nota: si osservi che le trasformazioni galileane (che definiscono le coordinate cartesiane dell'oggetto P rispetto a O1 oppure O2) sono implicite nella relazione vettoriale esposta sopra: P1(t)=P1-2(t)+P2(t).

Possiamo verificare sperimentalmente che le relazioni ottenute prima sono vere e che la composizione vettoriale dei moti ha un effettivo significato fisico (almeno per v<<c).
Ciò significa che, stabilito il carattere vettoriale del moto, possiamo trattare lo spostamento di un corpo, rispetto a sistemi di riferimento diversi, considerando la sua scomposizione in vettori (come visto sopra).

Facciamo subito un esempio.
È noto che un corpo P cade per effetto gravitazionale in assenza della resistenza dell'aria (lungo l'asse verticale Y) con una velocità:
vy(t)=gt
dove g è l'accelerazione gravitazionale, costante in prossimità del suolo.
Integrando possiamo ottenere il suo spostamento lungo Y ad ogni istante, partendo da un punto fissato y(0)=0:
y(t)=(1/2)gt2.
Supponiamo che il corpo P oltre a cadere lungo Y, venga anche sparato come un proiettile lungo l'asse orizzontale X nello stesso istante t=0 (con x(0)=0) ad una velocità vx costante; si avrà perciò uno spostamento:
x(t)=vxt.
Possiamo quindi comporre il moto di y(t) e x(t) lungo gli assi X e Y ottenendo per lo spostamento P(t) del proiettile:
P1(t)=ivxt+j(1/2)gt2
dove i e j sono i versori degli assi X e Y rispettivamente.
Nota: se sostituiamo il valore di t=x/vx in y(t) prima ricavato si ha y(x)=(1/2)g(x/vx)2=kx2 che definisce il moto a parabola di un proiettile, essendo il termine k=(1/2)g(1/vx2) una costante.

Ora ci chiediamo: come viene osservato il moto di P da un osservatore O2 che, per esempio, si muove lungo X a velocità vx uguale a quella del proiettile (con le stesse condizioni iniziali: x(0)=0 e y(0)=0)?

Per rispondere a questa domanda usiamo la composizione del moto. Se indichiamo con P1-2(t) la posizione di O2 rispetto a O1 risulta:
P1-2(t)=ivxt.
Perciò, componendo i vettori di posizione (come visto sopra), si ha P1(t)=P1-2(t)+P2(t) da cui possiamo subito ricavare P2(t) che indica la posizione del proiettile rispetto a O2:
P2(t)=P1(t)-P1-2(t)=j(1/2)gt2.
Ciò in pratica significa che l'osservatore in moto O2 vede precipitare sotto di lui, in linea retta, il proiettile lanciato da O1 (con velocità vy(t)=gt).

È noto che quanto visto sopra per la composizione dei moti non vale più quando si devono sommare alte velocità prossime a quelle di un'onda elettromagnetica (poiché non è più possibile effettuare misure simultanee in entrambi i riferimenti); in questo caso alle trasformazioni di Galileo (valide solo per velocità minori di c) si devono sostituire quelle di Lorentz (valide per qualsiasi velocità) e al posto dei vettori si usano i quadrivettori.
Nota: per una breve introduzione alla teoria della Relatività speciale vedi il post "La Relatività ristretta o... speciale!"

(*) Per chiarire il significato fisico di sistema inerziale vedi il post "Cos'è un Sistema di Riferimento Inerziale".
(**) Le trasformazioni delle velocità restano invariate anche quando il sistema di riferimento di O2 è traslatorio accelerato poiché i suoi versori (i, j e k) rispetto a O1 sono comunque costanti; si ricordi infatti che in generale risulta: dP/dt=d(ix+jy+kz)/dt=v+(xdi/dt+ydj/dt+zdk/dt).
(Viceversa per un sistema rotante le derivate dei versori non sono più nulle).
(***) Si osservi che con il solo uso dei vettori di posizione abbiamo in pratica ottenuto il principio di relatività galileiano secondo cui le leggi della meccanica, e quindi la dinamica dei corpi, sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali (dato che le accelerazioni restano invariate).