martedì 31 gennaio 2012

L'ipotesi di de Broglie: L=h/p

In questo post seguiremo la derivazione data più recentemente dal fisico francese Claude Elbaz (vedi “On De Broglie waves and Compton waves of massive particles”, Phys. Lett. 109A, 1985, pag.7).

Prima di derivare la relazione di de Broglie, formulata dal fisico francese nel 1924 (vedi Wikipedia), è utile ricordare la definizione di fase di un'onda.

Nel post "Ma cos'è una 'Onda'?" abbiamo definito una funzione f(x,t) che rappresenta un generico fenomeno oscillatorio che per ipotesi si propaga lungo l'asse X:
f(x,t)=f(x±Vt)
dove V è una costante che definisce la velocità di fase dell'onda (mentre il segno "±" indica se l'onda è regressiva o progressiva).

Quindi se ad esempio consideriamo il caso di un'onda sinusoidale di ampiezza costante il fenomeno periodico è ben descritto dalla relazione:
f(x,t)=Asin(kx±wt)
dove k=2π/L e w=2π/T essendo rispettivamente L e T la lunghezza e il periodo dell'onda (quindi V=L/T=w/k è la velocità di fase dell'onda). Ora ciò che viene definita fase dell'onda periodica è proprio l'argomento S=kx±wt che in pratica definisce il fenomeno fisico ondulatorio.

È noto che Einstein nel 1905 ipotizzò un comportamento di tipo particellare della radiazione elettromagnetica assegnando ad ogni fotone (di cui per ipotesi la radiazione è composta) una energia pari a quella già proposta da Planck (che però non aveva ben compreso la portata della sua ipotesi)*:
E=h/T
dove T è il periodo dell'onda associata ad ogni fotone.

Mentre de Broglie ipotizzò, per questioni di simmetria (vedi Wikipedia), che anche ad ogni particella fosse associato un non ben definito moto periodico T (e quindi una fase S=kx±wt) e che perciò valesse la relazione:
E=mc2=h/T
dove E ed m sono rispettivamente l'energia e la massa relativistica di una qualsiasi particella.

In particolare, per una particella in quiete di massa m0, risulterà per ipotesi:
E0=m0c2=h/T0.
Quindi, valendo come è noto la relazione relativistica tra la massa in moto con velocità v e quella in quiete (cioè m=γm0 con γ=1/(1-(v/c)2)1/2), si ricava dal rapporto E/E0 una relazione tra i due periodi in quiete T0 e in moto T rispettivamente (associati entrambi per ipotesi alla particella):
T0=γT.

Perciò, fissato ad esempio il punto x0=0, la fase S=k0x0±w0t0 del moto periodico della particella in quiete diventa per ipotesi:
S=w0t0
dove, per quanto visto sopra, risulta:
w0=2π/T0=2π/γT=w/γ.
Mentre t0 è definito in funzione di x e di t secondo la trasformazione relativistica del tempo (vedi le Trasformazioni di Lorentz):
t0=γ(t+vx/c2)
dove il segno "+" indica che t0 esprime il tempo proprio della particella.

A questo punto possiamo esprimere la fase S dell'onda in moto in funzione di w e t (che sono i valori della particella in moto) semplicemente sostituendo i valori di w0 e t0 appena ricavati:
S=w0t0=wt+2πvx/Tc2
essendo la fase S della particella relativisticamente invariante.
Nota: la fase S espressa in funzione di (w0,t0) oppure di (w,t) non deve variare poiché definisce lo stesso fenomeno fisico**.

Possiamo perciò scrivere la fase dell'onda della particella in moto nella forma canonica:
S=wt+kx
dove abbiamo posto k=2πv/Tc2=2π/L da cui segue:
L=Tc2/v
dove L è detta lunghezza d'onda di de Broglie.

Perciò la lunghezza d'onda di de Broglie L associata per ipotesi alla particella in moto è data dalla relazione
L=hTc2/hv=hc2/mc2v=h/mv
dove abbiamo semplicemente moltiplicato L per h/h e poi sostituito il valore di h/T=mc2.

Poiché p=mv rappresenta la quantità di moto della particella, avremo in definitiva la relazione di de Broglie:
L=h/p.

Il comportamento simmetrico ondulatorio/corpuscolare delle particelle (cioè fotoni, elettroni, etc.) è perciò definito dalle due relazioni fondamentali:
 E=h/T     e     L=h/p.

Il significato fisico della lunghezza d'onda di de Broglie è diventato evidente con il classico esperimento di Davisson e Germer (del 1927) i quali, sparando un fascio di elettroni su un reticolo cristallino di nichel, misero in evidenza un comportamento di diffrazione tipico delle onde, confermando l'ipotesi ondulatoria-corpuscolare di de Broglie***.
Nota: sul comportamento duale delle particelle vedi il post "Il dualismo onda-particella".

(*) È stato Einstein, con la sua corretta interpretazione dell'effetto fotoelettrico, ad introdurre in modo ben definito il concetto di fotone (vedi il post "Un effetto Foto-elettrico!"), mentre Planck aveva in realtà supposto l'emissione o assorbimento quantizzato delle pareti del corpo nero.
(**) La fase di un'onda S=kx±wt esprime la frazione d'onda kx=2π(x/L) e la frazione di periodo wt=2π(t/T) dello svolgersi di un fenomeno periodico; ma queste non possono dipendere dall'osservatore: il numero di cicli, per unità di spazio o di tempo, compiuti dal fenomeno fisico (che è oggettivo) deve rimanere lo stesso in tutti i sistemi di riferimento.
(***) La velocità di fase dell'onda V=w/k è priva di significato fisico poiché risulta V=E/p=c2/v>c essendo w=2πE/h e k=2πp/h (vedi sopra). Mentre la velocità di gruppo definita come Vg=dw/dk rappresenta la velocità della particella, che è assimilabile ad un pacchetto d'onde; infatti si ha dw/dk=dE/dp=v essendo E=c(m02c2+p2)1/2 (vedi Wikipedia).
(Vedi anche il post "L'Equazione della Funzione d'Onda")

giovedì 19 gennaio 2012

Energia, Tempo e indeterminazione

In riferimento al precedente post "Indeterminazione: Principio o Teorema?" mostriamo ora come è possibile derivare il principio di indeterminazione se si assume che una particella è descrivibile come un pacchetto d'onde.
Nota: il comportamento ondulatorio di una particella è sempre duale a quello corpuscolare (vedi il post "Il dualismo onda-particella").

È noto che per un pacchetto d'onde classico (dove ∆x rappresenta la sua estensione spaziale e ∆t l'intervallo di tempo di spostamento del pacchetto), valgono le seguenti relazioni:
∆x∆k≥2π   e   ∆w∆t≥2π   (1)
dove per definizione k=2π/L e w=2π/T mentre il segno "≥" dipende dalla forma del pacchetto d'onde considerato.
Nota: ricordiamo che L e T sono la lunghezza e il periodo di un'onda qualsiasi del pacchetto, mentre Vg=∆w/∆k è la velocità del gruppo di onde (vedi il post "Velocità di Fase e di Gruppo!").

Ora dalle due note equazioni ipotizzate valide per il comportamento ondulatorio e corpuscolare delle particelle*: 
p=h/L (De Broglie)   e   E=h/T (Einstein)
dove p ed E sono rispettivamente la quantità di moto e l'energia di una particella, possiamo derivare direttamente dalla (1), per sostituzione, le seguenti relazioni**:
∆x∆p≥h   e   ∆E∆t≥h.
Nota: in realtà queste relazioni non sono esatte poiché manca il fattore 1/4π correttamente derivato dai postulati della meccanica quantistica.

Si noti che la prima delle due relazioni (corretta dal fattore 1/4π ):
∆x∆p≥h/4π
è già stata discussa nel precedente post "Indeterminazione: Principio o Teorema?" e rappresenta il principio di indeterminazione di Heisenberg, valido per la posizione x e la quantità di moto p di una qualsiasi particella.

Vediamo quindi la seconda relazione (anch'essa corretta dal fattore 1/4π):
∆E∆t≥h/4π   (2)
dove è fondamentale osservare che in realtà "ΔE è la differenza tra due valori esatti dell'energia misurati in due istanti diversi" (vedi Wikipedia).

Quindi "questa relazione ha un significato diverso rispetto a quello che lega posizione e impulso" dato che "l'energia si può misurare con precisione arbitraria in ogni istante di tempo" (ciò è vero almeno quando è noto l'hamiltoniano del sistema) al contrario della posizione x e della quantità di moto p che non sono mai misurabili con precisione contemporaneamente.
Nota: in realtà il tempo quantistico è un parametro indipendente quindi non è una grandezza osservabile del sistema soggetta a indeterminazine.

 In generale è possibile interpretare questa relazione affermando che se la durata ∆t di uno stato è limitata (ad esempio la vita media di una particella o lo stato eccitato di un atomo), la sua energia varierà di una quantità ΔE≥(h/)/∆t nel tempo ∆t (ad esempio la particella decade o passa nello stato a minor energia); è evidente che nel caso limite di uno stato stazionario (cioè ∆t=∞) la sua variazione di energia sarà ovviamente nulla (ΔE=0).

È chiaro che il segno implica una relazione tra energia e tempo che non è definita con precisione; in questo senso si può dire semplicemente che "se la durata di uno stato è limitata la sua variazione di energia è indefinita"; o quanto meno che in un tempo ∆t si potrà avere una variazione di energia pari a ∆E≥(h/)/∆t (vedi Wikipedia).

In definitiva si può affermare che la variazione di energia di un sistema fisico e il relativo intervallo temporale in cui ciò si verifica, sono tra loro inversamente correlati secondo la relazione (2); ciò significa che affinché si verifichi una variazione di energia ΔE è richiesto un tempo ∆t≥(h/)/∆E o anche, in modo reciproco, che è necessario un tempo ∆t perché si verifichi una variazione di energia*** ∆E≥(h/)/∆t.
Nota: è forse controintuitivo ma minore è il tempo e maggiore è la variazione di energia permessa.

Si osservi però che abbiamo esaminato il principio di indeterminazione nel contesto quantistico "classico"; tuttavia nell'ambito relativistico della teoria dei campi, si ritiene che esso consenta delle fluttuazioni quantistiche del vuoto con la continua creazione/annichilazione di particelle virtuali (poichè più breve è ∆t maggiore è l'indeterminazione di energia ΔE del vuoto).

(*) L'equazione E=h/T è stata proposta per la prima volta da Planck che suppose la quantizzazione dell'energia, emessa o assorbita, dalle pareti di un corpo nero; ma è stato Einstein ad affermare per primo che fosse proprio la radiazione elettromagnetica ad essere costituita da fotoni cioè quanti di luce discreti (vedi il post "Un effetto Foto-elettrico!").
Mentre per chiarimenti sulla relazione di de Broglie p=h/L vedi il post "L'ipotesi di de Broglie: L=h/p".
(**) La derivazione del principio di indeterminazione dalle relazioni (1) è stata proposta per la prima volta dal fisico danese Niels Bohr poco dopo la formulazione di Heisenberg (del 1927).
(***) Ad esempio applicata ad un quanto di energia ∆E=h/∆T l'equazione (2) in pratica afferma che "non si può stabilire la frequenza di una radiazione in meno tempo di quello che la luce impiega per fare un'oscillazione completa" (vedi Wikipedia); cioè è necessario un tempo ∆T affinché possa essere rilevata una variazione di energia ΔE.

mercoledì 11 gennaio 2012

Indeterminazione: Principio o Teorema?

Purtroppo il Principio di indeterminazione di Heisenberg (formulato nel 1927) "viene a volte spiegato, erroneamente, sostenendo che la misura della posizione disturba necessariamente il momento lineare della particella; lo stesso Werner Heisenberg diede inizialmente questa interpretazione"* (vedi Wikipedia).
Nota: come introduzione a questo post vedi anche il post "Il dualismo onda-particella".

Precisamente questo principio afferma, indipendentemente dalla precisione o dal disturbo causato dagli apparati di misura, che è impossibile "determinare mediante osservazione contemporaneamente la posizione x e la quantità di moto p di una particella elementare".
Nota: in generale, anche se è stato formulato nel contesto subatomico, il principio vale per qualsiasi oggetto fisico, anche macroscopico.

Quindi l'indeterminazione è dovuta esclusivamente al fatto di voler misurare simultaneamente le due grandezze x e p; infatti "le singole grandezze osservabili per le cui coppie esista una relazione di indeterminazione, prese separatamente, possono essere misurate con un errore minimo e precisione assoluta" (ovviamente nei limiti della tolleranza dell'apparato di misura).
Nota: per il principio di complementarità vedi il post "Il dualismo onda-particella".

Ciò detto "il principio viene abitualmente reso con la formula
∆x∆p≥h/4π
in cui Δx è l'errore sulla posizione e Δp quello sulla quantità di moto, mentre h è la costante di Planck".
Nota: si può dimostrare che il principio vale per tutte le grandezze osservabili non commutative cioè quando il prodotto dipende dall'ordine dei fattori: in particolare per gli operatori x e p risulta xp-px=ih/2π.

Ma supponiamo di fare un esperimento ideale (ad esempio su di una singola particella) dove "la posizione x viene misurata in un sistema e il momento p viene misurato in una copia identica del primo sistema"; in questo caso x e p sarebbero noti contemporaneamente con precisione infinita.
Tuttavia, a riprova del fatto che il disturbo della misura non gioca nessun ruolo, il principio di indeterminazione resta valido: infatti si ha che l'indeterminazione risiede nella preparazione stessa del sistema copia al quale non possiamo assegnare sperimentalmente (e contemporaneamente) gli stessi valori di x e p che definiscono il primo sistema**.

Come sappiamo il concetto classico di traiettoria è definibile solo se conosciamo contemporaneamente posizione x e velocità v (e quindi momento p=mv) di una particella; tuttavia in meccanica quantistica possiamo solo prevedere la probabilità che in un certo istante una particella si trovi in una determinata posizione x oppure abbia una precisa quantità di moto p quindi non possiamo definire le sue condizioni iniziali con certezza (perciò non possiamo determinare la sua traiettoria)***.

Si osservi infine che è possibile derivare il principio di indeterminazione direttamente dai postulati della meccanica quantistica (vedi Wikipedia); ciò significa che tale principio è in effetti intrinseco alla meccanica quantistica non essendo cioè un suo postulato a priori ma un Teorema della teoria.

(*) A proposito del famoso esperimento ideale di Heisenberg, nel quale posizione e momento di un elettrone vengono misurati con un microscopio, si noti che l’impossibilità di misurare simultaneamente sia posizione che velocità non dipende tanto dal rinculo dell’elettrone per l’urto con il fotone (fenomeno ben descritto dall'effetto Compton), ma dalla diffrazione del fotone che passa attraverso l’obiettivo del microscopio introducendo l'indeterminazione: infatti se diminuiamo la frequenza del fotone (in modo da non perturbare troppo l'elettrone) aumenta la sua lunghezza d'onda (e quindi la diffrazione del microscopio) che determina l'incertezza nella posizione dell'elettrone.
(**) Non possiamo nemmeno affermare che il sistema possiede per principio (anche se non misurabile) una ben definita coppia posizione e quantità di moto (ovviamente se assumiamo che la meccanica quantistica è una teoria completa senza variabili nascoste).
(***) Il princio di indeterminazione vale anche per oggetti macroscopici ma in questo caso la massa m ha un valore tale per cui, a parità di incertezza Δv sulla velocità, quella sulla quantità di moto sarà molto più alta che nel caso microscopico (essendo Δp=mΔv); quindi l'incertezza sulla posizione Δx (che è inversamente proporzionale a Δp) diventa trascurabile nel caso classico.